La psicoterapia

la promenadeLa lettera ψ (Psi), simbolo della Psicologia, è l'iniziale della parola greca psyché (ψυχή). I greci indicavano in questo modo l’Anima, la forza vitale, o più semplicemente la vita stessa. Ma psyché era anche la farfalla, che vola via dal bozzolo, finalmente libera, dopo una lunga metamorfosi... Appena il nostro corpo ci dice che c’è qualcosa che non va, ci rechiamo dal medico generico o specialista per risolvere il problema. Un problema di natura fisica seguendo delle indicazioni può essere risolto. E per la nostra mente?

Psicologo-psicoterapeuta

Quando e Perché

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS 1978) definisce la salute come "uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non può essere assimilabile alla semplice assenza di malattia o infermità."

Limitando questa definizione all'ambito prettamente psicologico, ciò implica che la salute psichica non coincide con l'assenza di un disturbo psicopatologico, bensì con la promozione attiva del proprio benessere psicologico.
Per provare a tradurre in termini concreti "la promozione attiva del proprio benessere psicologico", dobbiamo porci, e tentare di rispondere, ad un paio di domande: Quando è il caso di andare da uno psicologo? Perché iniziare un percorso psicologico?

In senso strettamente clinico e diagnostico si parla di disturbo psicologico nel momento in cui una determinata condizione psicologica compromette significativamente le capacità lavorative e sociali di una persona. Tuttavia, pensare di rivolgersi ad un esperto soltanto nel momento in cui il disturbo si presenta in una forma conclamata costituisce un limite, perché così facendo si corre il rischio che anche le aree più funzionanti della personalità vengano per così dire "invalidate" da quelle più patologiche.

Ogni disturbo ha un suo periodo, più o meno lungo, di incubazione. Per esempio, una depressione non capita in maniera improvvisa, ma è spesso preceduta da una stanchezza ingiustificata dal proprio ritmo di vita, da un senso di vuoto, da eccessivi sensi di colpa, da un inizio di ritiro dai propri interessi abituali; così come un'ansia generalizzata è spesso preceduta da una paura generale che lentamente si ingrandisce fino a trasformarsi in un'ansia divorante.

Più in generale il proprio malessere psicologico, soprattutto se tende ad essere costante nel tempo, non va mai trascurato. Una bassa autostima, un sentirsi una nullità, il non avere scopi nella vita, il ripetere sempre gli stessi "errori" nelle relazioni, il non riuscire a prendere determinate decisioni, il sentirsi sempre "bloccati" dai giudizi e dai pregiudizi, sono tutte forme di malessere psicologico che meritano attenzione e che possono essere approfondite insieme ad uno specialista.

Quindi, tornando alla domanda "Quando andare da uno psicologo?", si può dire che sarebbe opportuno iniziare un percorso terapeutico nel momento in cui avvertiamo che il nostro malessere psicologico, anche se non si manifesta, o non si manifesta ancora, dentro un quadro clinico ben specifico, ha toccato o sta toccando il nostro equilibrio interiore.

Anche se spesso e volentieri molte persone intuiscono il "quando" sarebbe il caso di consultare uno psicologo, finiscono, il più delle volte, con il non rivolgersi ad un professionista perché nutrono aspettative poco realistiche sul cosa significhi andare dallo psicologo. In altre parole, non colgono il "perché" dovrebbero iniziare un percorso psicoterapeutico. Infatti, qualcuno teme che significherebbe "essere pazzi", e quindi per evitare questo etichettamento preferiscono tenersi il loro malessere. Alcuni ritengono che certi problemi siano "solo psicologici" e che di fatto, quindi, siano dei non-problemi. Altri immaginano che lo psicologo sia una specie di amico, dispensatore di consigli. E un consiglio, giustamente, preferiscono non pagarlo. Ma non è affatto così.
Lo psicologo aiuta la persona a trovare il proprio modo di rapportarsi al mondo esterno e al mondo interno, non dà soluzioni preconfezionate, ma cerca di far aumentare la consapevolezza di quali sono quei fattori che influenzano l'esistenza del paziente. Fattori ed elementi per lo più inconsci, annidati per esempio nei sogni e nei modelli relazionali della persona. Lo psicologo non ha già la verità in tasca e non presuppone di saperne di più del paziente, ma lo aiuta nel fargli scoprire le sue risorse.

Detto questo, allora perché andare dallo psicologo? In poche parole, PER TRASFORMARE IL MALESSERE IN CONSAPEVOLEZZA, E LA CONSAPEVOLEZZA IN NUOVE POSSIBILITÀ ESISTENZIALI.

Primi Colloqui
I primi colloqui sono incontri molto particolari all’interno di un percorso terapeutico. Spesso, più che essere colloqui terapeutici in senso stretto, sono colloqui informativi e di conoscenza nel quale il paziente, oltre a parlare liberamente di sé e della sua situazione, ha la possibilità sia di intuire come eventualmente si troverebbe, da un punto di vista esclusivamente umano, con il terapeuta che gli è dinanzi, sia di cogliere più realisticamente in cosa consisterebbe il lavoro terapeutico. Al terapeuta, invece, servono per comprendere il disagio che la persona porta e pensare ad un eventuale proposta di lavoro. Infatti, alla fine dei tre o cinque colloqui conoscitivi, il terapeuta, se crede sia il caso, propone un lavoro terapeutico alla persona, studiando assieme obiettivi, tempi e costi della terapia stessa.

Lo studio dello psicologo - psicoterapeuta
Lo studio di psicologia e psicoterapia viene definito setting psicologico/clinico.
E' lo spazio in cui viene ricevuto l'utente che ne fa richiesta attraverso, generalmente, un contatto telefonico in cui viene fissato l'appuntamento. Essendo il luogo di lavoro di una psicoterapia segue alcune indicazioni importanti che generalmenre rimangono costanti per tutta la durata della terapia. Tutti gli elementi descritti di seguito vengono definiti comunemente: criteri estrinseci della situazione psicoanalitica (Merton M. Gill (1994). Psicoanalisi in transizione, Raffaello Cortina, Milano, 1996.

1. La frequenza degli incontri
La frequenza può andare da un minimo di una seduta a settimana ad una massimo, per la psicoanalisi classica, di quattro sedute.

2. La durata di una seduta
Generalmente un colloquio dura dai 50 ai 60 minuti, questo però è a discrezione del terapeuta e del suo modello di riferimento.
L'aspetto importante è che al di là della durata deve assolutamente essere fissa per tutto il tempo della terapia.

3. La durata della terapia
Notoriamente una psicoanalisi o una psicoterapia psicoanalitica durano diversi anni.

4. La parcella
L’onorario viene definito insieme al paziente in base alle sue disponibilità economiche, entro comunque dei valori di riferimento indicati dall’Ordine degli Psicologi.

5. Lo spazio di lavoro
Il luogo dovrà essere abbastanza silenzioso; dovrà esserci una sufficiente illuminazione e soprattutto dovrà essere garantita una buona privacy rispetto all'esterno.

Psicoterapia con bambini

Il coinvolgimento dei genitori è una condizione necessaria affinché l'intervento con un bambino abbia senso. La richiesta infatti non può che partire dai genitori, perché possono essere solo loro a decidere di dare ascolto alle manifestazioni di sofferenza del proprio figlio (per quanto, in alcuni casi, i genitori possano ricevere il suggerimento di rivolgersi ad uno specialista dal proprio pediatra, o dalla scuola). Il bambino inoltre si presenta, come è naturale che sia, dipendente e influenzato dal mondo adulto circostante, in primo luogo dal mondo familiare: un intervento che non tenga in debito conto il fondamentale e irrinunciabile apporto dei genitori è a mio parere scorretto e dannoso.

Perché occuparsi tempestivamente delle manifestazioni di disagio di un bambino?
É importante tenere a mente che ci possono essere degli aspetti di disagio naturali e passeggeri in un bambino che stia attraversando per esempio una nuova fase di vita. Al tempo stesso, nell'infanzia un intervento tanto più è efficace quanto più è tempestivo. Questo significa che stare un attimo in osservazione cercando di comprendere cosa stia succedendo al proprio bambino senza farsi assalire dall'angoscia è sano, se non si trasforma però in una difficoltà a cogliere un disagio che sta rischiando di stabilizzarsi. Meglio togliersi dubbi e eventuali angosce rispetto a una certa manifestazione del proprio figlio che non fare come se nulla stesse accadendo. E questo a maggior ragione vale per un bambino, che ha il grande vantaggio di superare le proprie difficoltà, se opportunamente supportato, assai più velocemente e con risparmio di sofferenze rispetto ad un adulto (la cui struttura psichica è inevitabilmente meno flessibile).

Le aree di intervento con i bambini dai due anni in avanti, di cui mi occupo sovente e che portano i genitori a rivolgersi a me (non sto parlando di diagnosi ma di segnali importanti di stati di sofferenza, il cui senso va compreso caso per caso) sono:
Le paure: che se protratte, assumo rilievo significativo e finiscono per limitare, l'autonomia, la socializzazione o altri aspetti della vita del bambino: paura di andare a scuola, paura del buio, paura immotivata di perdere una persona vicina, paura di una specie animale;
Gli stati di ansia: timori eccessivi del giudizio dell'adulto e dei rimproveri, preoccupazione di non essere all'altezza, angosce di separazione;
Le situazioni di blocco emotivo:difficoltà a esprimere le proprie risorse cognitive e affettive, inibizioni di varia natura;
Difficoltà che coinvolgono l'alimentazione: rifiuto del cibo, desiderio smodato di mangiare, obesità infantile;
Difficoltà che riguardano la defecazione o la minzione: encopresi, enuresi;
Difficoltà che coinvolgono il sonno: incubi notturni, angoscia nel rimanere soli nella propria cameretta, difficoltà ad addormentarsi;
Manifestazioni di aggressività: verso i coetanei, verso bambini di età diversa, verso uno o entrambi i genitori, verso un fratello o una sorella, verso altre figure adulte, indirizzate verso se stessi;
Difficoltà a mantenere l'attenzione: a scuola, in qualsiasi contesto, insieme ad agitazione motoria continua;
Problemi connessi al linguaggio: ritardo nell'acquisizione della parola, tendenza a parlare come bambini di età inferiore alla propria;
Problemi di apprendimento: ritardo nell'apprendimento della lettura o della scrittura, difficoltà rispetto alla logica, ritardo nell'apprendimento della matematica;
Problematiche relazionali: timidezza spiccata, stati di isolamento.

Gruppoanalisi

La Gruppoanalisi (o Gruppanalisi) è un paradigma psicoterapeutico di gruppo ad orientamento psicodinamico, derivata dal lavoro clinico di Wilfred Bion e Siegfried Heinrich Foulkes negli anni '40, e da allora continuamente sviluppatosi. La Gruppoanalisi è una modalità clinica per analizzare i processi dinamici gruppali a livello di piccolo gruppo (orientativamente dai 4 ai 10 membri), di gruppo mediano (dai 10-12 ai 20-30 membri) o di grande gruppo (dai 30 membri in su).
La dialettica tra processi psicologici individuali e processi di gruppo è continua, e tramite l'esperienza gruppale è possibile sperimentare ed osservare una serie di complesse relazioni sociali.
I membri del gruppo sono supportati dal conduttore - e si possono supportare vicendevolmente - nell'esprimere ed esplorare i propri vissuti all'interno del gruppo ed in merito allo stesso. In generale, le difficoltà personali sono viste non solo a livello individuale, ma anche focalizzate a livello gruppale e/o organizzativo.
Il setting e le modalità di funzionamento complessivo del gruppo sono essenziali per permettere l'articolazione di un processo terapeutico adeguato. Il focus di attenzione dei pionieri della Gruppoanalisi fu il rapporto tra individuo e gruppo, che (come già notato da Kurt Lewin) poteva essere concettualizzato come un oggetto mentale ed affettivo parzialmente diverso dalla semplice "somma degli individui" che vi partecipavano.Il gruppo è uno spazio sociale che favorisce lo sviluppo delle relazioni fra le menti degli individui che ne fanno parte e facilita la nascita di legami identificativi e la creazione di una cultura comune. Quando tale cultura è aiutata dal funzionamento del gruppo e dall'analista a evolvere riuscirà ad acquisire funzioni di metabolismo e di rappresentazione dei propri contenuti e dei legami interni che attraversano il gruppo.
La mentalità originaria, che sta alla base del gruppo, è generata secondo Bion, dall'incontro e lo scambio delle valenze primitive e protomentali dei membri. Il gruppo può sviluppare nel tempo una vicenda condivisa, producendo una catena associativa che fa da ponte fra il qui e ora dello spazio mentale comune e la riattualizzazione delle memorie di base. Questa elaborazione contribuirà a trasformare la mentalità basica del gruppo verso forme di pensiero e metodi di lavoro più evoluti. Essi saranno sentiti dai partecipanti come esclusivi e dotati di qualità generose, feconde e soprattutto tali da apportare chiarezza e rigenerazione anche nel tempo futuro. Tali risorse sviluppate dal gruppo e dalle sue facoltà di elaborazione condivisa tendono a stabilizzarsi, ad essere sentite come particolarmente forti e potranno essere interiorizzate come un insieme organizzante di funzioni psichiche a carattere sociale.

Questo elemento conferisce una qualità particolare alla sicurezza del singolo, un elemento di collocazione nel contesto, un rinforzo della propria individualità all'interno del reale e dei legami sociali. Anche il senso di coesione soggettiva può essere reso più efficace dal tipo di introiezione sociale che stiamo descrivendo e può attenuare il sentimento di debolezza personale, a favore di una percezione della relazione di reciprocità e di possibilità evolutive dei legami intersoggettivi.

Alla base di questa dimensione che i membri di un gruppo terapeutico acquisiscono vi è stata l'esperienza graduale di passaggi e fasi evolutive (Neri 2004) e la costruzione di un processo affettivizzato e che si è progressivamente differenziato dall'unità sincretica iniziale (originaria) verso la tensione di individuazione delle differenze e di tempi e spazi dell'esperienza maggiormente articolati e complessi. Aver potuto costruire e attraversare tale processo, che contiene anche dolore, oltre a desiderio di conoscenza e di legame, mette il gruppo nella condizione di sentire se stesso capace di produrre l' insieme delle rappresentazioni che il contatto fra più individui ha generato. Connettendo fra loro in modo fecondo, come in una tessitura nuova, diversi stati mentali soggettivi che interagiscono all'interno di un contenitore determinato, il gruppo sente di poterli trasformare, maturandoli fino ad approdi psichici collettivi più organizzanti e allo sviluppo anche di capacità di autorappresentazione (Neri, ibidem).

Psicoterapia con persone consacrate

Come premessa è importante sottolineare, che la psicoterapia, non vuole assolutamente sostituirsi ad un cammino spirituale, ma invece integrarsi ad esso. Infatti a volte, le persone consacrate si sentono inaridite interiormente e non riescono più a trovare gioia per la propria vita spirituale e la propria vocazione. Hanno perduto la speranza, e hanno bisogno di un nuovo orientamento. Naturalmente, legato a tutto ciò è facile il verificarsi di depressione, sfiducia, il dolore legato alla solitudine o alla propria sessualità o ancora vecchie ferite che tornano anche dopo tanti anni. Spesso insorgono difficoltà anche quando le aspettative sono troppo grandi o è in gioco una “spiritualità dall’alto”, i cui ideali troppo elevati non sono realizzabili. La strada verso la guarigione inizia con la capacità di prendere le distanze da tutto senza giudicare subito. Gli interessati devono fare i conti con se stessi e con la propria storia. Poi viene il secondo passo, che consiste nel trovare una nuova strategia per valorizzare le proprie capacità e reagire ai problemi che spuntano nella propria anima o in seno alla comunità, ancora, nel lavoro. Il terzo passo sta nel trovare e sviluppare l’immagine di Dio come salvatore e liberatore. L’immagine di se stessi è legata, in ultima analisi, all’immagine di Dio. Per ottenere tutto questo è però necessaria una nuova spiritualità che permetta di vivere in modo sano e autentico. La psicoterapia, quindi, non risolve i problemi religiosi, ma stimola ad analizzare la fede per scoprire se si fonda su idee infantili oppure una fuga dalla realtà dell’anima o altro.
Il vantaggio della psicoterapia, sta in generale nel fatto di considerare l’anima nella sua totalità, aiuta a prendere coscienza di tutta l’esistenza. Il rapporto con Dio può essere vivo soltanto se si è in grado di offrirgli tutto ciò che è nascosto. E’ possibile incontrare persone consacrate che presentano a Dio soltanto una parte di sé, perché, per esempio, non sono in grado di offrirgli le ferite presenti nel loro intimo. Perciò non possono avere un rapporto vivo con Dio. La psicoterapia aiuta quindi ad affrontare e sanare queste ferite dell’animo.

Psico-oncologia

Nel cammino del paziente oncologico si possono presentare diversi momenti critici, il primo dei quali è di solito rappresentato dalla diagnosi, in seguito alla quale le reazioni più comuni sono incredulità, rabbia, tristezza, ansia, colpa, difficoltà a dormire, mancanza di concentrazione, perdita di appetito, ecc. Si susseguono nel tempo diverse sfide per il paziente, a seconda della fase della malattia e del trattamento in cui si trova. In un primo momento, il paziente e il personale sanitario sono impegnati negli accertamenti diagnostici e nella predisposizione del piano di cure. E’ presente speranza di un futuro e un investimento emotivo sulla vita, anche se dentro di sé la persona vive già uno stato di paura, come una minaccia. Spesso è il momento in cui per la prima volta ci si sente vulnerabili, esposti ad un attacco, a una violenza: il corpo viene identificato nella malattia, viene vissuto come separato da sé eppure irrimediabilmente inscindibile, diventa un nemico sconosciuto. Immerso in una condizione di confusione, il paziente è come in uno stato di “sospensione” che lo rende incapace di recepire informazioni importanti sulla malattia o di porre egli stesso delle domande. Tutto questo rischia di diventare di ostacolo all’adattamento nei confronti della malattia.
Lo sconvolgimento iniziale, quale reazione immediata e naturale deve, in seguito, gradualmente lasciare spazio alla consapevolezza perché il conoscere aiuta ad entrare in una dimensione più progettuale e attiva consentendo di sviluppare le risorse per affrontare meglio la situazione.
In una fase successiva della malattia, il perdurare della sofferenza e della malattia portano il paziente a riflettere su di sé e sulle relazioni con l’esterno, per cui emergono preoccupazioni per il lavoro e la famiglia e per tutto ciò che c’è fuori dall’ospedale o dalla condizione di malattia. Lo stato emotivo è caratterizzato da scoraggiamento e da instabilità, poiché l’ammalato avverte forte il senso di precarietà e teme di non poter ritornare ad una condizione di vita come la precedente, quando stava bene fisicamente. Nemmeno la fine delle terapie e l’entrata nella fase di remissione sul piano medico sono sempre concomitanti con la risoluzione della crisi legata alla malattia e al suo trattamento, pertanto occorre prestare una costante attenzione alla situazione emotiva di angoscia del paziente e della sua famiglia, alle sue multiformi manifestazioni, quando la perdita di una relazione stabile e rassicurante con l’équipe di riferimento e il medico in modo particolare, lascerà il posto ad un reale sentimento di insicurezza.

Aree di intervento

In questa pagina presento in maniera schematica e sintetizzata i principali disturbi psicologici di cui mi occupo.

DISTURBI D’ANSIA: attacchi di panico, fobie, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo acuto da stress, disturbo post-traumatico da stress, disturbo d’ansia generalizzata.
Gli attacchi di panico, si manifestano nell’individuo ponendolo in uno stato di terrore, che induce spesso la persona a fuggire di fronte ad eventi ritenuti catastrofici e incombenti. I sintomi più comuni negli attacchi di panico sono sia somatici, come le palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea, che psicologici, come la paura di impazzire, di morire, la depersonalizzazione, la derealizzazione.
La fobia, si manifesta con un aumento clinicamente significativo di ansia, provocata dall’esposizione ad un oggetto o ad una situazione temuta, che spesso determina condotte di evitamento.
Il disturbo ossessivo compulsivo, è caratterizzato, come dice lo stesso nome, dalla presenza di ossessioni e/o compulsioni. Le ossessioni sono dei pensieri ricorrenti intrusivi, che si manifestano involontariamente nella persona. Le compulsioni sono dei rituali messi in atto dall’individuo per neutralizzare le ossessioni stesse.
Il disturbo acuto da stress e il disturbo post-traumatico da stress sono legati al rivivere costantemente un evento particolarmente crudo (una morte improvvisa, un incidente grave, una catastrofe naturale ect…) con sentimenti di impotenza, orrore e terrore.
A livello diagnostico i due disturbi vengono differenziati per la loro intensità e durata nel tempo.
Il disturbo d’ansia generalizzato è peculiarizzato dalla presenza costante di preoccupazioni smisuratamente ansiogene, o meglio riconosciute come tali dalla persona stessa, riguardanti una pluralità di tematiche nella vita di un individuo.
In linea generale, si può dire che i disturbi d’ansia esprimono generalmente un conflitto interno che necessita di essere indagato e rielaborato.

DISTURBI DELL’UMORE: disturbo depressivo maggiore, disturbo distimico, disturbo maniaco depressivo (bipolare). I disturbi dell’umore si caratterizzano per una predominante alterazione del tono dell’umore, in senso depressivo o maniacale, che influenza negativamente tutta la vita sociale e relazionale di una persona.

DISTURBI ALIMENTARI: anoressia nervosa, bulimia nervosa.
I disturbi alimentari sono comportamenti inadeguati che riguardano l’assunzione del cibo. Mentre nell’anoressia la persona si rifiuta e si sforza attivamente per mantenere il suo peso al di sotto del minimo normale, nella bulimia la persona prova un impulso irrefrenabile e ingestibile ad abbuffarsi e a divorare una quantità di cibo assolutamente sproporzionata a quelle che sarebbero le normali esigenze vitali. Talvolta nell’anoressia, quasi sempre nella bulimia, sono presenti comportamenti volti ad eliminare il cibo assunto (vomito indotto, uso di lassativi, esercizi fisici ect..).
La caratteristica essenziale comune a entrambi i disturbi alimentari è la presenza di un’alterata percezione del peso e della propria immagine corporea.

DISTURBI DI PERSONALITÀ: paranoide, schizoide, schizotipico, borderline, istrionico, narcisistico, antisociale, evitante, dipendente, ossessivo compulsivo.
Per personalità si intende l’insieme delle caratteristiche e dei modi con cui la persona interagisce con gli altri, affronta le cose, pensa e vede il mondo e ciò che accade attorno a se’. Ogni persona ha particolari caratteristiche (tratti di personalità), e questi tratti si adattano flessibilmente alle diverse situazioni modellandosi nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni, a seconda delle circostanze. La persona con un disturbo di personalità invece, presenta alcuni tratti in modo particolarmente accentuato e rigido anche quando le situazioni o le circostanze richiederebbero atteggiamenti diversi o più opportuni.